Tra geni, esperienze e possibilità

Oltre il DNA: uno sguardo integrato sull’autismo tra genetica, epigenetica e ambiente


1. L’autismo non è uno solo

Negli ultimi anni, abbiamo imparato a riconoscere sempre di più la complessità dell’autismo. Non come etichetta rigida, ma come spettro ricco di sfumature, storie, bisogni e possibilità. Proprio per questo, accogliamo con grande interesse il recente studio pubblicato su Nature Genetics (Litman et al., 2025), che rappresenta un passo importante nella direzione di una comprensione più fine e articolata.

Analizzando oltre 5.000 individui, i ricercatori hanno applicato un modello statistico innovativo – il generative mixture modeling – e identificato quattro sottotipi distinti all’interno dello spettro autistico.

Questi profili si differenziano per sviluppo sociale, linguaggio, comorbidità e tratti genetici.

È un contributo prezioso, perché ci permette di andare oltre l’uniformità diagnostica e di avvicinarci con maggiore precisione alla complessità del funzionamento autistico.

Al tempo stesso, riteniamo che questa nuova classificazione ci inviti a non dimenticare ciò che va oltre i geni. Perché ogni espressione neurodivergente nasce e si sviluppa all’interno di un contesto: ambientale, relazionale, culturale. 

L’influenza dell’epigenetica, le esperienze precoci, la qualità dell’attaccamento, le pratiche educative e perfino la dimensione simbolica e sensoriale della vita quotidiana giocano un ruolo fondamentale nel plasmare la nostra mente e il nostro sentire. 

Questo nostro articolo si pone l’obiettivo di esaminare in modo critico e costruttivo le limitazioni degli approcci puramente genetici, proponendo una visione scientifica e olistica, che consideri l'interazione complessa tra genetica, ambiente e cultura nella comprensione dei disturbi dello spettro autistico.

Le persone autistiche non sono riducibili a varianti genetiche, ma sono individui complessi le cui esperienze sono modellate da un'interazione costante e dinamica tra predisposizioni biologiche, ambiente fisico e sociale, contesto culturale e opportunità di sviluppo. 


Riteniamo che per chi, come noi, lavora con un approccio integrato, questa è un’opportunità per integrare saperi diversi: valorizzare i dati genetici e neurologici, sì, ma anche restituire centralità alle storie personali, ai corpi, ai legami. 

Non solo per una comprensione scientifica più accurata, ma anche per lo sviluppo di approcci terapeutici e di supporto più efficaci e personalizzati.

È così che - noi crediamo- si può continuare ad accompagnare davvero, con rispetto, integrazione e precisione, la complessità unica di ogni persona nello spettro.


2. Oltre il DNA: il ruolo dell’ambiente e dell’epigenetica

Ogni persona, neurotipica o neurodivergente, nasce con un patrimonio genetico generalmente stabile, non modificabile somaticamente, salvo eccezioni rare come mutazioni de novo; tuttavia, è il profilo epigenetico, sensibile ai contesti, a modulare dinamicamente l’espressione genica.

La genetica è senza dubbio una componente importante, ma non può bastare da sola a spiegare la complessità dell’autismo. Oggi abbiamo sempre più evidenze che parlano di un’interazione dinamica tra predisposizione genetica, ambiente prenatale e postnatale e modificazioni epigenetiche.

In particolare, il concetto di epigenetica sta diventando sempre più centrale anche quando parliamo di neurodivergenza.  L’epigenetica regola l'espressione fenotipica dei nostri geni: può essere ereditata, ma anche fortemente condizionata dall'ambiente e dalle abitudini, stili di vita ed esperienze che viviamo nella nostra vita. La qualità delle relazioni, lo stress, l’alimentazione, i ritmi circadiani,  l’inquinamento sono solo alcuni tra i fattori che possono influenzare il modo in cui i nostri geni si “attivano” o restano “in silenzio”, senza però modificarne la struttura.

È un po’ come se il DNA fosse una partitura musicale, e l’epigenetica fosse l’insieme dei direttori d’orchestra che decidono quando e come far suonare certi strumenti. Questi “interruttori” naturali possono essere influenzati da ciò che accade dentro e intorno a noi, soprattutto nei momenti più delicati dello sviluppo, come il periodo del concepimento, la gravidanza o la prima infanzia.

L’epigenetica, disciplina che studia le modificazioni ereditabili dell’espressione genica non accompagnate da alterazioni nella sequenza del DNA, risulta cruciale per comprendere l’interazione dinamica tra predisposizione genetica e ambiente. Esperienze precoci, stress prenatale e perinatale, stato infiammatorio cronico, esposizione a sostanze tossiche, fattori nutrizionali e relazionali possono influenzare l’attività genica attraverso meccanismi come la metilazione del DNA, le modificazioni istoniche, e l’azione di RNA non codificanti.

Uno studio giapponese recente, ad esempio, ha osservato una maggiore attivazione di un gene – chiamato RABGGTB – in alcune persone autistiche. Questa attivazione è stata trovata in una parte del cervello che ha a che fare con la serotonina, una sostanza fondamentale per regolare l’umore e la socialità. Questo gene, fino a poco tempo fa, non era mai stato associato all’autismo: un segnale importante di quanto ci sia ancora da scoprire (Iwata et al., 2025).

Anche altri studi, che analizzano l’espressione genetica in grandi gruppi di persone, hanno mostrato differenze nei “pattern epigenetici” delle persone autistiche mettendo in relazione, ad esempio, la metilazione del gene OXTR con la gravità dei sintomi autistici e la connettività funzionale cerebrale”(Andari et al., 2020).  Tutti questi dati ci ricordano che l’autismo non nasce da una sola causa, ma da un intreccio complesso tra biologia e vita.

Se da un lato questo studio rappresenta un avanzamento significativo nella comprensione dell’autismo come condizione eterogenea e multifattoriale, noi riteniamo sia importante sottolineare, da un punto di vista critico e costruttivo, un’importante lacuna epistemologica: l’assenza di una prospettiva epigenetica integrata nei modelli proposti.

Noi riteniamo sia fondamentale ampliare l’orizzonte interpretativo di questi modelli, integrando la dimensione epigenetica per evitare di cristallizzare una visione rigidamente deterministica dell’autismo. L’eterogeneità fenotipica osservata nei disturbi dello spettro autistico non può essere compresa pienamente senza considerare come le traiettorie di sviluppo siano il risultato di un’interazione continua tra codice genetico, ambiente ed esperienza.

L’integrazione di dati epigenetici nei modelli attuali potrebbe, infatti, contribuire a spiegare perché individui con profili genetici simili possano manifestare livelli di compromissione, adattamento o risposta agli interventi profondamente differenti. A nostro avviso, questo approccio permetterebbe anche di individuare fasi critiche di vulnerabilità o plasticità neurobiologica, utili per la progettazione di interventi personalizzati, preventivi o terapeutici.

Noi crediamo che la vera sfida scientifica e clinica per i prossimi anni consista nel costruire modelli multidimensionali e dinamici, in grado di includere e correlare dati genetici, epigenomici e ambientali. Solo così sarà possibile sviluppare una comprensione realmente sistemica dell’autismo e favorire pratiche cliniche più efficaci e rispettose della complessità individuale.

In questo senso, riteniamo che il lavoro di Litman e colleghi (Litman et al, 2025) fornisca una base solida e promettente, ma sia importante completarlo con una visione che riconosca il ruolo essenziale dell’ambiente, della relazione e del contesto nello scolpire – o modulare – le traiettorie neuroevolutive.


3. Geni, Ambiente ed Epigenetica: un sistema dinamico e interconnesso

Negli ultimi anni, le neuroscienze dello sviluppo stanno abbracciando un modello sempre più integrato per spiegare la variabilità neurobiologica nei disturbi del neurosviluppo, incluso l’autismo. In questo contesto si fa strada il concetto di "ereditarietà integrata", un paradigma emergente che riconosce la co-esistenza e l’interazione multilivello tra codice genetico, regolazione epigenetica e fattori ambientali nello scolpire le traiettorie dello sviluppo neuroevolutivo.

Come discusso da Herrera (2024) in una recente review, le evidenze attuali mostrano che le alterazioni epigenetiche, indotte da fattori ambientali prenatali e postnatali, possono modulare in modo significativo l’espressione dei geni associati all’ASD, contribuendo alla variabilità fenotipica osservata. Questo approccio supera la visione riduzionista della genetica come unica matrice esplicativa e propone una visione sistemica, in cui l’ambiente agisce non solo come fattore di rischio, ma anche come possibile modulatore adattivo attraverso meccanismi epigenetici reversibili e contestuali.

Questo modello comprende almeno tre dimensioni interdipendenti:

1. Il patrimonio genetico propriamente detto, costituito da varianti rare o comuni che possono influenzare direttamente il rischio di variabilità neurobiologica e condizioni del neurosviluppo, inclusi i disturbi dello spettro autistico (ASD);

2. Le modificazioni epigenetiche, ovvero meccanismi molecolari – come la metilazione del DNA, le modificazioni post-traduzionali degli istoni e l’attività di RNA non codificanti – che regolano l’espressione genica in maniera reversibile e sensibile al contesto, senza alterare la sequenza nucleotidica;

3. I fattori ambientali, che agiscono sia in modo diretto sia attraverso la modulazione epigenetica. Tra questi rientrano elementi fisici, chimici, nutrizionali e psicosociali (come lo stress, l’alimentazione, le infezioni durante la gravidanza, l’inquinamento o anche l’equilibrio del microbiota intestinale) e che incidono soprattutto durante periodi critici dello sviluppo, come la gravidanza e i primi anni di vita. 

Ad esempio, l’esposizione materna a inquinanti atmosferici, in particolare alle polveri sottili (PM2.5), è stata associata in numerosi studi epidemiologici a un aumento del rischio di ASD (Chun et al., 2020). È stato rilevato che queste particelle ultrafini, grazie alle loro dimensioni ridotte, sono in grado di superare la barriera placentare e raggiungere il comparto fetale, dove possono interferire con i processi neurogenetici e sinaptogenetici in atto. Inoltre, tali esposizioni possono attivare risposte infiammatorie e indurre modificazioni epigenetiche nei tessuti in via di sviluppo.

Anche la nutrizione materna prenatale può rappresentare un altro fattore critico. Carenze di micronutrienti essenziali – come l’acido folico, le vitamine del gruppo B o la vitamina D – sono state correlate a un rischio aumentato di alterazioni del neurosviluppo (Li M. et al., 2019). I folati, in particolare, svolgono un ruolo chiave nel ciclo del carbonio a un carbonio, fondamentale per la sintesi di metili utilizzati nella metilazione del DNA, uno dei principali meccanismi epigenetici regolatori (Joubert B. R. et al., 2016; Ondičová M. et al., 2022)

In sintesi, l’ereditarietà integrata riflette un sistema biologico dinamico, in cui i profili neuroevolutivi emergono dall’interazione complessa tra predisposizione genetica, segnali ambientali e plasticità epigenetica. 

Riteniamo che comprendere e sottolineare l'importanza di questi meccanismi sia fondamentale per sviluppare approcci predittivi, preventivi e terapeutici più efficaci nel campo dell’autismo e dei disturbi del neurosviluppo.


4. Sguardi futuri: ciò che manca per una visione davvero integrata

Lo studio di Litman et al. (2025) rappresenta un contributo importante per chi si occupa di autismo, offrendo una mappa preziosa delle differenze genetiche che possono caratterizzare i vari profili dello spettro. È un passo avanti estremamente significativo, che ci aiuta a uscire da visioni troppo generalizzanti e a riconoscere la varietà dei percorsi possibili.

Come spesso accade con le ricerche più avanzate, tuttavia, emergono anche aspetti da tenere in considerazione con uno sguardo che sia critico e costruttivo.

Non per sminuirne il valore, ma per continuare a contribuire a un dialogo scientifico sempre più articolato e inclusivo. 

Al fine di costruire un modello che sia sempre più integrato e utile anche nella pratica clinica, riteniamo sia fondamentale interrogarsi su ciò che questo studio di Litman et al. (2025) non include: variabili cruciali come il genere, l’ambiente, la relazione e i fattori epigenetici, che modellano profondamente le traiettorie neuroevolutive.

Per esempio, rispetto al campione utilizzato nello studio di Litman et al. (2025) non sappiamo qual’è la distribuzione del campione in termini di genere. Oggi sappiamo che l’autismo femminile, in particolare, tende a manifestarsi in forme più sottili, relazionali, spesso mascherate da strategie di adattamento o da una maggiore competenza verbale. Comprenderlo richiede uno sguardo diverso, capace di cogliere segnali spesso meno evidenti, ma profondamente significativi. 

Studi come quello di Stroth et al. (2022) mostrano che un campione femminile ASD tende a presentare livelli più bassi di comportamenti ripetitivi rispetto al campione maschile ASD e la review di Hull et al. (2020) esplora il Female Autism Phenotype (FAP) e il fenomeno del camouflaging, ovvero la capacità delle donne autistiche di nascondere o compensare i propri tratti verso un comportamento più neurotipico. 

Questa formulazione permette di evidenziare come la manifestazione fenotipica nell’autismo femminile possa differire sostanzialmente da quella maschile, più visibile nei criteri diagnostici standard, e sottolinea la possibilità di sottodiagnosi nelle donne

Riteniamo dunque sia fondamentale focalizzare l’attenzione futura anche sul fenotipo femminile, perché si rischia di costruire modelli diagnostici e di intervento che non si rivolgano in modo inclusivo a tutte e a tutti.

Mancano, inoltre, dati su fattori che oggi sappiamo essere fondamentali: lo status socioeconomico, il contesto familiare, la qualità delle cure precoci, l’alimentazione, l’esposizione a inquinanti, le esperienze traumatiche. Tutti elementi che, sebbene non modifichino il DNA, possono influenzare in profondità l’espressione dei geni e la traiettoria evolutiva.

Alcune delle categorie individuate, inoltre, sembrano riflettere caratteristiche riconducibili a condizioni in comorbidità, come l’ADHD o la depressione maggiore, più che a tratti specificamente autistici. Questo solleva interrogativi interessanti sul valore clinico di tali sottotipi e su come possano essere tradotti in indicazioni realmente utili per la pratica clinica e gli interventi sul campo.

Infine, lo studio di Litman et al. (2025) non include dati epigenetici, che riteniamo essere fondamentali per comprendere l’interazione tra predisposizione genetica e ambiente, ossia per osservare come i geni si esprimono e perché lo stesso codice genetico può dare origine a esiti così diversi, anche a seconda delle esperienze vissute.


5. Verso un modello integrato: genetica, epigenetica, ambiente e autismo

Riteniamo che la classificazione fenotipica proposta nello studio di Litman et al. (Nature Genetics, 2025) rappresenti un passo importante nella comprensione della variabilità clinica dell’autismo.

Tuttavia, riteniamo altresì che i futuri passi della ricerca debbano andare verso una direzione integrata, al fine di delineare un intervento sempre più preciso e mirato, ma non solo, anche in ottica di prevenzione.

Se vogliamo davvero ascoltare la complessità di un individuo, non possiamo prescindere dalle sue origini. Le storie prenatali e perinatali – spesso trascurate – sono in realtà snodi fondamentali nello sviluppo neurobiologico. Lo stress materno, le infezioni o le complicanze ostetriche, ad esempio, non sono semplici eventi clinici, ma condizioni in grado di influenzare i primissimi processi di regolazione tra organismo e ambiente, lasciando potenzialmente tracce epigenetiche nei momenti più vulnerabili e plastici dello sviluppo.

Anche ciò che respiriamo, ciò che mangiamo, ciò che impariamo – sin dai primi giorni – modella il nostro sistema nervoso in modi che solo ora iniziamo a comprendere. I grandi dataset longitudinali ci offrono, oggi, la possibilità di osservare come questo dialogo tra geni, ambiente e storia personale si evolva nel tempo, offrendoci la chiave per interventi che non siano solo “curativi”, ma profondamente trasformativi.

Crediamo che solo attraverso uno sguardo sistemico, capace di tenere insieme biologia, relazione, ambiente e storia, si possa davvero superare l’approccio riduzionista e frammentato. La medicina di precisione, se nutrita da una visione integrata e umana, può diventare lo strumento per onorare l’unicità di ogni percorso evolutivo e offrire risposte realmente personalizzate.

Riteniamo che l’adozione di un approccio sistemico basato su dati multi-livello – che includa genetica, epigenetica, fisiologia, neurobiologia e ambiente – sia essenziale per superare i limiti dei modelli attuali, ancora spesso riduttivi e settoriali. 

Crediamo profondamente che attraverso prospettive sempre più integrate sarà possibile sviluppare modelli predittivi ancora più precisi e interventi realmente personalizzati, in linea con i principi della medicina di precisione.


Neuroscienze, epigenetica e relazione: verso una nuova clinica dello sviluppo

Le attuali traiettorie della ricerca in neuroscienze dello sviluppo convergono verso modelli integrativi e multilivello, capaci di mettere in relazione dimensioni genetiche, epigenetiche, ambientali, fisiologiche, relazionali e culturali. 

In questo panorama si afferma sempre più un approccio orientato alla costruzione di profili individuali di rischio e resilienza, da cui derivare interventi personalizzati, efficaci e adeguati al contesto.

Questo orientamento supera la logica categoriale tradizionale e riconosce la necessità di comprendere la neurodiversità come espressione di uno sviluppo complesso e dinamico, in cui componenti biologiche e ambientali si intrecciano sin dalle primissime fasi della vita. L’identificazione precoce di biomarcatori molecolari e fisiologici – come variazioni nella metilazione del DNA, pattern neurofunzionali o indici di regolazione autonomica – rappresenta una delle sfide principali per le scienze cliniche dello sviluppo.

In tale cornice, le neuroscienze stanno aggiornando i propri modelli esplicativi, integrando concetti di regolazione sistemica e plasticità relazionale. 

Un contributo centrale è offerto dalla teoria polivagale (Porges, 2011), che descrive la struttura gerarchica del sistema nervoso autonomo e il ruolo del complesso vagale ventrale nella regolazione della sfera affettiva e sociale. Secondo questo modello, le esperienze relazionali precoci – soprattutto quelle caratterizzate da sicurezza o, al contrario, da esposizione a minacce – influenzano lo sviluppo neurofisiologico attraverso meccanismi adattativi che possono determinare modificazioni epigenetiche stabili. 

Evidenze recenti mostrano, ad esempio, che alterazioni del tono vagale e disregolazioni del sistema parasimpatico sono associate a una maggiore vulnerabilità a disturbi emotivi e comportamentali, compresi quelli dello spettro autistico (Kemp et al., 2023; Borgomaneri et al., 2022).

Un contributo significativo in questo senso proviene da un articolo di Manzotti et al. (2024), in cui viene proposta una rilettura critica della teoria polivagale alla luce delle attuali evidenze in neuroscienze, epigenetica e neurobiologia dello sviluppo. L’approccio degli autori suggerisce, in un quadro più sistemico, potenziali connessioni tra la regolazione vagale e meccanismi biologici adattativi, come quelli modulati dall’epigenetica, l’asse HPA e i processi infiammatori neurobiologici.

Queste osservazioni rafforzano l’idea che per comprendere e intervenire efficacemente anche nei disturbi del neurosviluppo sia necessario considerare l’interazione tra sistemi biologici regolatori e contesto esperienziale, adottando una prospettiva realmente ecologica e transdisciplinare. 

Per dare vita a una clinica dello sviluppo sempre più capace di accogliere la complessità senza ridurla e di proporre interventi fondati su evidenze integrate e orientati alla persona.


Conclusioni: verso una comprensione integrata dello spettro autistico

Lo studio pubblicato su Nature Genetics (Litman et al., 2025) rappresenta un contributo decisivo, dimostrando che è possibile identificare sottotipi clinico-genetici coerenti, associati a traiettorie fenotipiche e profili molecolari distinti.

Questa stratificazione clinica e biologica non costituisce solo un avanzamento teorico: ha implicazioni operative nella diagnosi precoce, nella predittività degli esiti e nella progettazione di interventi sempre più personalizzati.

Tuttavia, emerge con chiarezza che la sola prospettiva genetica non è sufficiente a cogliere l’intera complessità dei meccanismi che caratterizzano l’autismo.
L’autismo è una configurazione neuroevolutiva complessa e multidimensionale, dove si intrecciano fattori genetici, ambientali, relazionali, culturali ed epigenetici.

In questo scenario, l’epigenetica si configura come un ponte dinamico tra il genoma e l’ambiente, offrendo una chiave interpretativa essenziale per comprendere la variabilità individuale.
La relazione precoce caregiver–bambino, lo stile di vita familiare e genitoriale, l’alimentazione, il livello di stress psicosociale e l’esposizione a tossici ambientali sono tutti fattori in grado di influenzare l’epigenoma e, di conseguenza, lo sviluppo del sistema nervoso autonomo.

Noi riteniamo che affrontare la complessità dello spettro autistico richieda una prospettiva transdisciplinare, capace di superare le semplificazioni categoriali e valorizzare la variabilità interindividuale.Un modello integrato che connette interazioni precoci, ambiente intrauterino e meccanismi epigenetici permette una lettura più completa e realistica dello sviluppo neurobiologico.

In tale direzione si muovono anche le evidenze recenti che collegano la regolazione vagale – componente fondamentale del sistema nervoso autonomo – a modificazioni epigenetiche prenatali (Manzotti et al., 2024). In questa prospettiva, mantenere una visione biopsicosociale e transdisciplinare, che valorizzi la plasticità dei circuiti autonomici e l’interazione tra genetica, ambiente ed epigenetica riteniamo sia fondamentale.

La sfida attuale consiste nell’evitare derive deterministiche e continuare a integrare dati genetici, epigenetici, fisiologici, ambientali e relazionali, per restituire allo studio dell’autismo la sua complessità ecologica e dinamica.

In questa prospettiva, la genetica potrà fornire la struttura di base, ma saranno l’epigenetica, l’ambiente e l’esperienza a modulare il percorso, tracciando l’evoluzione unica di ogni soggetto lungo lo spettro.

Gli interventi preventivi—come il caregiving sensibile, la promozione della salute prenatale e le pratiche educative rispettose—possono preparare il terreno per strategie precoci e mirate, in grado di sostenere il benessere psicofisico lungo tutto l’arco dello sviluppo.

Per genitori, educatori, clinici e ricercatori, questo implica:

  • superare le dicotomie rigide (es. autistico vs. non autistico),
  • riconoscere la diversità dei profili di funzionamento,
  • promuovere interventi personalizzati e centrati sulla persona,
  • sostenere politiche sanitarie, educative e sociali realmente inclusive, basate sull’evidenza e attente alla qualità della vita.

La genetica può tracciare la mappa, ma è l’epigenetica a scrivere il viaggio.

Per passare da una mappa statica a una narrazione dello sviluppo, serve uno sguardo scientificamente fondato ma aperto alla possibilità di cambiamento, adattamento e crescita.


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